Più il tempo passa e più il legame con questa attività si fa
indelebile ( per motivi non solo legati alla passione) realizzo che l’arrampicata, come pochi altri
sport, è soprattutto un veicolo espressivo che esula dal
semplice gesto atletico. Una foto scattata, un progetto video, un evento che
riunisce tanta altra gente con la medesima passione , sono solo alcuni modi per
tirar fuori quel fuoco che ci brucia dentro.
Scrivere di arrampicata è forse l’espressione più intima,
più sincera . quella che ci spoglia di fronte a chi ha la pazienza e la
curiosita di leggere le nostre
emozioni e le nostre contraddizioni…
Queste sono le parole e le emozioni di due B siders travolti
da una pietra che non smette di rotolare
Climbing never dies
Leggi le parole di Luca su:
Martina Blanchet in:
SARRE “the
final cut”
Sarà che è comodo, sarà che è allenante, sarà che ogni
fottuto weekend: tempo
di merda.
Sarà…fatto sta che sono sempre lì, sotto il famigerato tettaccio, a difendere
la mia triste fama di “Queen of Sarre”.
Se non altro la cosa mi riesce piuttosto bene e nel giro di due settimane ho
la meglio sia contro l’odiato dinamico di Kabuki Plus, che contro il temuto
mono di Smalto (che ovviamente mono per me non è…eheh!). Non abbastanza sazia
di ghisa, decido di lanciarmi su Parsisarre, 8b. Dopo la partenza boulderosa
di
Parsifal, si traversa su Sarre all’altezza di un discreto riposo, di lì
correre
fino in cima. E così corro (per modo di dire come tutti sanno!), ma a meno tre
prese dalla catena la ghisa ha la meglio.
Ritorno dopo pochi giorni. Ahimè caldazza mortale: 26C°, ore 9 di sera. Tento
comunque, ma faccio poca strada…
Ci riprovo qualche settimana dopo, più per forza di cose che per vera
motivazione. Visto il poco tempo a disposizione e l’ennesima fastidiosa
pioggerella pomeridiana non ho infatti alternative: Sarre. Dopo un giro di
ricognizione parto, demotivata e deconcentrata. Sotto continuano a parlare.
Zitti, cazzo. “No perché tu lì alzi il piede, io invece lolotto”. Zitti,
zitti.
“Ah si? Ma dici dopo l’incrocio?”, “No, alla spalla!”. Concentrati,
concentrati…passo il duro di Parsifal e raggiungo il riposo di Sarre.
Finalmente il silenzio. Due rapide sghisate e poi parto. Il silenzio si fa
tifo. Senza accorgermene mi ritrovo alle due prese finali, avambracci d’
acciaio, ma… “clack”, nello stesso momento in cui la mano destra mi abbandona,
la corda passa nella ghiera della catena. È fatta :)
di merda.
Sarà…fatto sta che sono sempre lì, sotto il famigerato tettaccio, a difendere
la mia triste fama di “Queen of Sarre”.
Se non altro la cosa mi riesce piuttosto bene e nel giro di due settimane ho
la meglio sia contro l’odiato dinamico di Kabuki Plus, che contro il temuto
mono di Smalto (che ovviamente mono per me non è…eheh!). Non abbastanza sazia
di ghisa, decido di lanciarmi su Parsisarre, 8b. Dopo la partenza boulderosa
di
Parsifal, si traversa su Sarre all’altezza di un discreto riposo, di lì
correre
fino in cima. E così corro (per modo di dire come tutti sanno!), ma a meno tre
prese dalla catena la ghisa ha la meglio.
Ritorno dopo pochi giorni. Ahimè caldazza mortale: 26C°, ore 9 di sera. Tento
comunque, ma faccio poca strada…
Ci riprovo qualche settimana dopo, più per forza di cose che per vera
motivazione. Visto il poco tempo a disposizione e l’ennesima fastidiosa
pioggerella pomeridiana non ho infatti alternative: Sarre. Dopo un giro di
ricognizione parto, demotivata e deconcentrata. Sotto continuano a parlare.
Zitti, cazzo. “No perché tu lì alzi il piede, io invece lolotto”. Zitti,
zitti.
“Ah si? Ma dici dopo l’incrocio?”, “No, alla spalla!”. Concentrati,
concentrati…passo il duro di Parsifal e raggiungo il riposo di Sarre.
Finalmente il silenzio. Due rapide sghisate e poi parto. Il silenzio si fa
tifo. Senza accorgermene mi ritrovo alle due prese finali, avambracci d’
acciaio, ma… “clack”, nello stesso momento in cui la mano destra mi abbandona,
la corda passa nella ghiera della catena. È fatta :)
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