Ore 22.30: con una bella medaglia di bronzo al collo esco finalmente dal centro sportivo di Cantalupa. Com'era già? "Prima il dovere, poi il piacere". Beh…il dovere per questa volta era andato, ma esagererei a parlare solo di dovere. Partecipare al campionato regionale piemontese è stato, anche quest'anno, un gran piacere e un'ottima occasione per confrontarsi con le più forti gariste italiane. Sicuramente più un piacere dell'anno scorso, non solo per il miglior risultato, ma anche per la minor tensione che avevo addosso. L'anno passato infatti, proprio con il campionato di Cantalupa, avevo deciso di rimettermi in gioco, dopo due anni di stop dal mondo delle competizioni. Ma tornare a gareggiare si era rivelato tutto tranne che rilassante.
Ora però veniva il piacere quello vero, quello che aspettavo da un po', quello che io e mio fratello aspettavamo da un po'. Si partiva. Cinque giorni a disposizione, il solito furgone sgangherato, destinazione Briançonnais.
Lunedì mattina ci svegliamo con tutta calma. Splende il sole sulla vallée, l'aria è fresca. Dopo una prima colazione a bordo del "Marraco" cerchiamo un campeggio nei dintorni di Guillestre, quindi una seconda colazione nel centro del paesino. Ora si può andare a scalare. Ora si può andare a Rue des Masques. Abbiamo già le idee chiare sui rispettivi progetti: mio fratello, confidando nei miei consigli, attacca Racing in the street. Io mi monto Carosses et citrouilles. Ma più che inquadrare i singoli, in quel primo giorno di conglomerato francese, combiniamo ben poco. Vuoi io per la stanchezza della gara e per il solito dolore al braccio, vuoi lui per qualche errore di piedi e per i miei ricordi molto confusi.
Il martedì solita routine: colazione nel furgonaccio, doppia colazione a Guillestre. Ormai anche il signore del bar ci conosce: "Café allongé et jus d'ananas?", "Oui, merci". Per fortuna la routine non è la stessa del giorno prima anche in falesia…
Collegati braccia e cervello ci mettiamo all'opera. Dopo un giro di ripasso e pulizia parto sul mio 8a. Le dita sono ghiacciate, quei buchetti iniziali me le anestetizzano senza pietà. Non sentendo una presa dopo neanche cinque rinvii sto già esplodendo dalla ghisa. Impreco dal nervoso. Per tutta risposta mio fratello mi urla di svegliarmi a raggiungere il riposo così mi si scaldano le mani e mi tiro nuova. Si scaldano sì, ma altro che tirarsi nuova…sono rovinata. Riparto, convinta di cadere ad ogni movimento. L'impressione che dò, in effetti, è proprio quella. Ma non sbaglio niente e, presa dopo presa, passo la pancia dura, dò due sghisate alla svasona e stringo i denti sull'uscita. Svuotata fisicamente e mentalmente moschetto la catena. Mio fratello mi cala a terra. "Non ti davo 100 lire! Grande Chou!!". Di grandi in realtà, in quel martedì, ce ne sarebbero stati due: questa volta senza errori e senza esitazioni mio fratello passeggia sull'8b. Neanche lo snappo clamoroso dell'ultima tacca prima del riposone lo butta giù. Figata. Dai che si torna al bar!
Il mercoledì si ricaricano le batterie per gli ultimi due giorni di France, ma si svuotano i portafogli nel fantastico negozietto di Gap. Forse era meglio andare a scalare…
Giovedì invece è tempo di calcare, quello severo di Rocher des Brumes, nella valle di Fournel. Dopo una lunga stradina tutta curve, di quelle dove devi solo sperare di non incrociare un'altra macchina perché se no tocca lanciare la monetina, e un buon 20 minuti di camminata spuntiamo in un angolo di paradiso. Strapiomboni gialli da lasciare senza parole, vie dure e belle una dopo l'altra, un panorama mozzafiato. Tiro più facile: 7a. Un bel 7a su cui prendiamo subito delle belle bastonate. Ammazza, qui non si scherza. Su suggerimento di Andre saliamo al settore più alto: un dévers, anzi un soffitto che al tetto di Sarre "glifanapippa" (non solo in quanto a bellezza, naturalmente, ma anche in quanto a inclinazione). Proprio al centro di quello strapiombone una serie di fissi ci svela dove corre il nostro nuovo obiettivo: Papapuk, 8a. Ci facciamo un giro per dargli un'occhiata, ma scendo un po' delusa. Non fa così per me come credevo. Tutta questione di addominali e bicipiti, dita e piedi lasciarli pure alla base grazie. Il fratellaccio lo spiana al secondo, in una vero lotta contro quelle prese ghiacciate. Le mie mani invece sembrano proprio non farcela contro quel gelo. Per non parlare del mio bicipite che soffre ogni giro di più. Ma al quarto tentativo della giornata finalmente lo passeggio come volevo, fregandomene del freddo, i movimenti ormai metabolizzati in pieno, quasi facili. Pugnetto, qualche foto e si torna al furgone, soddisfatti e spensierati. La sera però solo forti dolori al braccio che, poveraccio, non riesce nemmeno più a stendersi del tutto.
Ma venerdì è l'ultimo giorno. L'ultimo giorno di vacanza, di pains aux chocolats, ma soprattutto di roccia francese. Non si molla.
Per questioni di tempo e comodità torniamo a Rue des Masques e andiamo alla scoperta di un piccolo settorino isolato. Conta solo quattro linee: due 7c, un 7c+ e un 8a. Sembrano una più bella dell'altra. Monto l'8a, una sfuriata iniziale che diventa a poco a poco più facile. Si può fare, penso come arrivo in catena. Idem mio fratello, dopo avergli dato una sbirciata. Tocca di nuovo a me. Mi preparo al sole e poi via, si parte su quegli infidi buchetti all'ombra. Una limitata dopo l'altra mi rendo conto di essere in cima a Ciao Criquet, il mio secondo 8a chiuso al secondo giro, il mio terzo 8a in quei quattro giorni di scalata. Una fitta al braccio mi ricorda che ora è tempo di riposare davvero. Gli prometto che lo farò e lo ringrazio per avermi concesso ancora quell'ultima soddisfazione, così come ringrazio mio fratello per questi cinque giorni "full gas".
Ps: per non smentirsi anche il fratellaccio la spunterà al secondo essai sul tiro, ma non senza qualche testa indietro degna delle mie ;)
Ora però veniva il piacere quello vero, quello che aspettavo da un po', quello che io e mio fratello aspettavamo da un po'. Si partiva. Cinque giorni a disposizione, il solito furgone sgangherato, destinazione Briançonnais.
Lunedì mattina ci svegliamo con tutta calma. Splende il sole sulla vallée, l'aria è fresca. Dopo una prima colazione a bordo del "Marraco" cerchiamo un campeggio nei dintorni di Guillestre, quindi una seconda colazione nel centro del paesino. Ora si può andare a scalare. Ora si può andare a Rue des Masques. Abbiamo già le idee chiare sui rispettivi progetti: mio fratello, confidando nei miei consigli, attacca Racing in the street. Io mi monto Carosses et citrouilles. Ma più che inquadrare i singoli, in quel primo giorno di conglomerato francese, combiniamo ben poco. Vuoi io per la stanchezza della gara e per il solito dolore al braccio, vuoi lui per qualche errore di piedi e per i miei ricordi molto confusi.
Il martedì solita routine: colazione nel furgonaccio, doppia colazione a Guillestre. Ormai anche il signore del bar ci conosce: "Café allongé et jus d'ananas?", "Oui, merci". Per fortuna la routine non è la stessa del giorno prima anche in falesia…
Collegati braccia e cervello ci mettiamo all'opera. Dopo un giro di ripasso e pulizia parto sul mio 8a. Le dita sono ghiacciate, quei buchetti iniziali me le anestetizzano senza pietà. Non sentendo una presa dopo neanche cinque rinvii sto già esplodendo dalla ghisa. Impreco dal nervoso. Per tutta risposta mio fratello mi urla di svegliarmi a raggiungere il riposo così mi si scaldano le mani e mi tiro nuova. Si scaldano sì, ma altro che tirarsi nuova…sono rovinata. Riparto, convinta di cadere ad ogni movimento. L'impressione che dò, in effetti, è proprio quella. Ma non sbaglio niente e, presa dopo presa, passo la pancia dura, dò due sghisate alla svasona e stringo i denti sull'uscita. Svuotata fisicamente e mentalmente moschetto la catena. Mio fratello mi cala a terra. "Non ti davo 100 lire! Grande Chou!!". Di grandi in realtà, in quel martedì, ce ne sarebbero stati due: questa volta senza errori e senza esitazioni mio fratello passeggia sull'8b. Neanche lo snappo clamoroso dell'ultima tacca prima del riposone lo butta giù. Figata. Dai che si torna al bar!
Il mercoledì si ricaricano le batterie per gli ultimi due giorni di France, ma si svuotano i portafogli nel fantastico negozietto di Gap. Forse era meglio andare a scalare…
Giovedì invece è tempo di calcare, quello severo di Rocher des Brumes, nella valle di Fournel. Dopo una lunga stradina tutta curve, di quelle dove devi solo sperare di non incrociare un'altra macchina perché se no tocca lanciare la monetina, e un buon 20 minuti di camminata spuntiamo in un angolo di paradiso. Strapiomboni gialli da lasciare senza parole, vie dure e belle una dopo l'altra, un panorama mozzafiato. Tiro più facile: 7a. Un bel 7a su cui prendiamo subito delle belle bastonate. Ammazza, qui non si scherza. Su suggerimento di Andre saliamo al settore più alto: un dévers, anzi un soffitto che al tetto di Sarre "glifanapippa" (non solo in quanto a bellezza, naturalmente, ma anche in quanto a inclinazione). Proprio al centro di quello strapiombone una serie di fissi ci svela dove corre il nostro nuovo obiettivo: Papapuk, 8a. Ci facciamo un giro per dargli un'occhiata, ma scendo un po' delusa. Non fa così per me come credevo. Tutta questione di addominali e bicipiti, dita e piedi lasciarli pure alla base grazie. Il fratellaccio lo spiana al secondo, in una vero lotta contro quelle prese ghiacciate. Le mie mani invece sembrano proprio non farcela contro quel gelo. Per non parlare del mio bicipite che soffre ogni giro di più. Ma al quarto tentativo della giornata finalmente lo passeggio come volevo, fregandomene del freddo, i movimenti ormai metabolizzati in pieno, quasi facili. Pugnetto, qualche foto e si torna al furgone, soddisfatti e spensierati. La sera però solo forti dolori al braccio che, poveraccio, non riesce nemmeno più a stendersi del tutto.
Ma venerdì è l'ultimo giorno. L'ultimo giorno di vacanza, di pains aux chocolats, ma soprattutto di roccia francese. Non si molla.
Per questioni di tempo e comodità torniamo a Rue des Masques e andiamo alla scoperta di un piccolo settorino isolato. Conta solo quattro linee: due 7c, un 7c+ e un 8a. Sembrano una più bella dell'altra. Monto l'8a, una sfuriata iniziale che diventa a poco a poco più facile. Si può fare, penso come arrivo in catena. Idem mio fratello, dopo avergli dato una sbirciata. Tocca di nuovo a me. Mi preparo al sole e poi via, si parte su quegli infidi buchetti all'ombra. Una limitata dopo l'altra mi rendo conto di essere in cima a Ciao Criquet, il mio secondo 8a chiuso al secondo giro, il mio terzo 8a in quei quattro giorni di scalata. Una fitta al braccio mi ricorda che ora è tempo di riposare davvero. Gli prometto che lo farò e lo ringrazio per avermi concesso ancora quell'ultima soddisfazione, così come ringrazio mio fratello per questi cinque giorni "full gas".
Ps: per non smentirsi anche il fratellaccio la spunterà al secondo essai sul tiro, ma non senza qualche testa indietro degna delle mie ;)
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